La compensazione di crediti inesistenti si accerta in otto anni

Le Sezioni Unite, con le Sentenze nn. 34419 e 34452 del 11.12.2023 si sono soffermate sia sui caratteri distintivi tra “inesistenza” e “non spettanza” del credito, sia sul diverso regime giuridico e sui presupposti che ne condizionano l’applicabilità.

Con riferimento al primo aspetto, la Corte ha definito credito “inesistente” quello in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del DPR n. 600/1973 e all’articolo 54-bis del DPR n. 633/1972.

Il credito “non spettante” è, invece, un’eccedenza o un credito d’imposta utilizzato in misura superiore a quella effettivamente spettante o in violazione delle modalità di utilizzo. 

Trattasi di una categoria residuale, in cui rientrano tutti i casi non ricollegabili al credito inesistente.

La Suprema Corte di legittimità, tracciando una netta linea di demarcazione tra le nozioni di “inesistenza” e “non spettanza” del credito d’imposta oggetto di indebita compensazione, ha attribuito correttamente il più lungo termine per l’accertamento (otto anni) ai soli casi “eccezionali” caratterizzati da comportamenti dolosi e artificiosi del contribuente, dove il credito sia stato creato ad hoc e non indicato in dichiarazione dei redditi.